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Mentre l’Italia si prepara all’annuale celebrazione della liberazione dal nazifascismo, il 25 aprile 1945, vorrei raccontarvi una storia di Resistenza della mia famiglia, che ho iniziato solo di recente a portare alla luce: quella di mia prozia Iolanda Beccherle. Forse non sembra un classico eroe di guerra in questa foto. Ma lo e’ stata.

Ho iniziato a ricercare questa storia nel 2018, dopo che mio padre (che ha forti ricordi d’infanzia della guerra) ha fatto circolare un libretto che aveva scritto, con la storia della famiglia Beccherle, quella di sua madre. In esso accennava al fatto che sua zia Iolanda Beccherle aveva ricevuto un premio dal governo britannico dopo la seconda guerra mondiale, ma che né lui né altri della famiglia sapevano esattamente perché.
Come cittadina italiana residente nel Regno Unito ero molto incuriosita da quello che sembrava un riconoscimento di una certa importanza, quindi ho deciso di saperne di più. Cinque anni dopo l’inizio delle ricerche, dopo essere stata in contatto con varie organizzazioni, con discendenti di persone coinvolte in eventi accaduti dove viveva Iolanda (Zevio, vicino a Verona) e dopo aver consultato libri e archivi nazionali in due Paesi, ho – credo – risolto l’enigma. Mi mancano ancora alcuni pezzi, ma oggi scrivo di quello che ho scoperto finora.
Le donne italiane parteciparono in molti modi alla Resistenza: molte erano “staffette”, ma molte furono anche le donne coinvolte direttamente nel combattimento armato insieme ai partigiani. Inoltre – come vedremo – c’erano altre forme di resistenza. Tanti ricordi sul ruolo delle donne andarono però perduti perché dopo la guerra la maggioranza di loro tornò al ruolo domestico che la società si aspettava da loro.
Iolanda non era tra coloro che tornavano a un ruolo tradizionale. Non si era mai sposata, aveva intrapreso la carriera di direttrice di un ufficio postale (molto insolita per le donne italiane di quei tempi) e visse tutta la vita in una pensione. Vantandosi spesso di non aver mai cucinato un pasto e di non aver mai stirato! Eppure, ha scelto comunque di tacere su quello che era successo.
Mia zia Emma Canzi (Emi), che la conosceva molto bene, attribuisce questo silenzio a una forma naturale di modestia. Aiutare altre persone al momento del bisogno è stato semplicemente ciò che Iolanda ha fatto, per tutta la vita.
Quando Iolanda morì nel 1973, fu Emi a trovare questo stupefacente certificato tra le sue cose.

Dopo varie ricerche online, ho scoperto che questo è un “Certificato Alexander”. Ma prima di spiegare di cosa si tratta, vale la pena ripassare cosa accadde nel 1943 in Italia.
Resa caotica
Quando l’armistizio fu annunciato l’8 settembre 1943, c’erano circa 80.000 prigionieri di guerra alleati nei campi di prigionia italiani. I comandanti di campo italiani ricevettero, la sera prima, l’ordine di favorire la fuga dei prigionieri di guerra verso la Svizzera o verso la parte del Sud d’Italia che era in mano alle forze alleate. Tuttavia, a quel punto divenne chiaro che gli alleati non si sarebbero mossi verso Nord lungo la penisola abbastanza rapidamente, lasciando il tempo all’esercito tedesco di invadere il Nord Italia. Così tanti soldati italiani scelsero di lasciare l’esercito e di nascondersi, alcuni aderendo ai gruppi partigiani che nel frattempo si stavano costituendo, altri tornando a casa.
Donne di ogni estrazione sociale si organizzarono spontaneamente, a questo punto, per fornire abiti civili, cibo e riparo ai soldati italiani in fuga.
Nel frattempo, in molti campi, i prigionieri di guerra alleati scoprirono che le guardie se n’erano andate e il cancello in molti casi era stato lasciato aperto, Così nonostante un ordine di rimanere fermi, arrivato da Londra e noto come “stand fast order” (su cui c’è qualche polemica), decine di migliaia di soldati fuggirono nelle campagne circostanti, rendendo questa forse la più grande fuga di massa di prigionieri che si sia mai vista nella storia.
In pochi giorni, la maggior parte dell’Italia fu invasa dalle forze tedesche, fu creata la Repubblica fantoccio di Salò, con a capo di nuovo Mussolini.
Quindi la decisione presa dai prigionieri di guerra di lasciare i campi di prigionia fu quella giusta (coloro che non lo fecero furono catturati dai nazisti e portati in campi di prigionia in Germania). Fortunatamente, centinaia di famiglie italiane – per lo più contadini poveri che avevano a malapena cibo a sufficienza per sé – diedero spontaneamente rifugio ai soldati alleati che si presentavano a casa loro affamati. Tuttavia, presto questo divenne estremamente pericoloso. La pena per aver fornito questa assistenza, se catturati, era la tortura, un campo di concentramento o l’esecuzione. Nella maggior parte dei casi, quando le persone venivano scoperte, le case e le fattorie venivano bruciate e il bestiame ucciso. Questo è il motivo per cui molti di loro sono stati successivamente premiati con “Certificati Alexander” (e in alcuni casi compensi monetari).
I campi intorno a Verona, dove si trovava Iolanda, ospitavano circa 3200 prigionieri di guerra alleati, quindi gran parte di questi doveva essere nascosta nella zona. Eppure Iolanda, da donna single residente in pensione, di certo non avrebbe mai potuto dare rifugio a dei soldati. Cosa ha fatto, dunque, per aver ricevuto questa benemerenza?
La svolta nelle mie ricerche è arrivata dopo che ho contattato il Monte San Martino Trust (MSMT), un’organizzazione inglese fondata nel 1989 dall’ex prigioniero di guerra Cav. J. Keith Killby OBE, proprio per poter conservare la memoria del sacrificio e dell’eroismo di tanti contadini italiani nel 1943.
Anne Copley dell’ MSMT mi ha consigliato di consultare gli archivi della Allied Screening Commission che oggi sono conservati presso la National Archives and Records Administration (NARA) degli Stati Uniti a Washington. Per fortuna, è stato possibile farlo inviando un’e-mail con alcune informazioni precise: non c’è stato bisogno di viaggiare fino a Washington! E nel giro di pochi giorni, la NARA mi ha inviato un documento prodotto dalla Allied Screening Commission con un formulario riempito a mano da Iolanda.

Il documento contiene una lunga spiegazione scritta a mano da Iolanda e tradotta in inglese, su ciò che aveva fatto. “Ogni settimana portavo sigarette, raccoglievo denaro, vestiti e medicine per i prigionieri di guerra e mi dedicavo ad attività di propaganda… ”
Questo indicherebbe che Iolanda facesse parte di una rete che sosteneva i contadini che tanto generosamente e coraggiosamente ospitavano i prigionieri fuggiaschi. Un’ipotesi è che essere la direttrice dell’ufficio postale locale significasse conoscere tutti e tutto quello che succedeva a Zevio e dintorni, e chi ospitasse i soldati, e magari potendosi muovere e consegnare pacchi senza dare nell’occhio. Il riferimento alla propaganda potrebbe significare molte cose, ma potrebbe (potenzialmente) indicare il coinvolgimento in reti di sabotaggio come i “Gruppi di Difesa della Donna”.
Poi Iolanda dice di essersi offerta di contribuire a finanziare “ un piano per il trasporto di tutti i prigionieri di guerra della zona in un luogo più sicuro … poi fallito all’ultimo minuto a causa dei rastrellamenti effettuati dai tedeschi”.
Su iniziativa di Ferruccio Parri , un gruppo speciale della sezione Nord Italia del Comitato di Liberazione Nazionale aveva infatti iniziato a coordinare un gran numero di fughe in stretto coordinamento con gli Alleati, aiutando i prigionieri di guerra lungo il cammino con ospitalità e cibo. Forse Iolanda stava in qualche modo aiutando questo sforzo. È importante aggiungere, cosa anch’essa poco nota, che alcuni dei soldati alleati in fuga si univano ai partigiani là dove si trovavano, mentre altri si recavano prima in Svizzera ma accettavano di essere paracadutati in seguito in Italia per aiutare la Resistenza italiana.
La “famosa sera dei rastrellamenti”.
Nella parte finale del documento c’è poi un riferimento alla “famosa sera dei rastrellamenti” a proposito del quale lei dice di aver “lanciato prontamente l’allarme , evitando che ci fossero ulteriori vittime…” . Ho davvero faticato a capire cosa significasse esattamente, per un po’ di tempo.
Un utilissimo (e commovente) sito web personale creato da Giantonio Bonato e sua sorella Annalinda, nipoti di Gilio Bonato, contadino di Volon, vicino a Zevio, insignito anch’egli dell’Alexander Certificate, mi ha fornito il contesto necessario sugli avvenimenti della zona.
La “famosa sera” si riferisce molto probabilmente alla notte tra il 5 e il 6 novembre 1943, quando le truppe nazi-fasciste arrivarono in paese durante la notte e passarono ore di porta in porta alla ricerca di prigionieri di guerra nascosti. Di conseguenza, tre contadini italiani, Luigi Ferrari, Attilio e Leonildo Bettili e due prigionieri di guerra che erano stati ospiti presso di loro, William O’Connell e Linghk Harbajont, furono giustiziati in una caserma appena fuori Verona. Questa è oggi chiamata Strage di Palu’, uno dei tanti crimini di guerra perpetrati dall’esercito della Repubblica di Salo’.
Dato che centinaia, se non migliaia, di prigionieri di guerra erano nascosti nella zona, il massacro avrebbe indubbiamente potuto essere ancora peggiore se l’allarme dell’imminente rastrellamento non fosse stato lanciato in tempo.
Il libro di memorie di Albert Watson Rhoades , uno dei prigionieri di guerra ospitati dalla coraggiosa famiglia Bonato, che include resoconti delle figlie di Gilio, conferma potenzialmente questa interpretazione. Anna Bonato racconta infatti di essere stata svegliata improvvisamente una notte e di aver dovuto avvisare gli inglesi di correre fuori dalla porta sul retro per nascondersi nei campi perché i Nazifascisti li stavano cercando. Nel suo racconto, invece, Adelina Bonato cita una donna che veniva a portare vestiti e provviste, una signora Cisorio di Zevio, che doveva probabilmente far parte della stessa rete clandestina di cui faceva parte Iolanda.

Perché Iolanda non ha mai parlato di tutto questo?
Dopo la guerra, la maggior parte delle persone ha evitato di parlare di quello che è successo poiché tutti avevano familiari e amici che avevano combattuto ed erano morti su fronti opposti. Un nipote di Iolanda, Sofocle, essendosi arruolato volontariamente nell’esercito fascista, era morto nel 1942 ad El Alamein, ucciso dagli Alleati . Molti dei prigionieri di guerra Alleati detenuti nei campi di prigionia italiani, quegli stessi che venivano aiutati, erano stati catturati proprio nel teatro di guerra nordafricano, molti proprio ad El Alamein. Il fratello di Sofocle, e altro nipote di Iolanda, Focione Melotti, invece, combatte’ con i partigiani. Ma resto’ talmente traumatizzato, che si rifiutò persino di ritirare il premio dopo la guerra, nonostante avesse avuto un ruolo cruciale nella liberazione di Milano nel 1945 insieme a Sandro Pertini. Si può quindi comprendere la voglia di non parlarne mai più.
Eppure, con tutto il rispetto che ho per il desiderio di Iolanda di tacere sulle sue gesta in tempo di guerra, penso che 80 anni dopo sia importante saperne di più. Questo può aiutare a far sì che il contributo delle donne alla Resistenza smetta di essere poco conosciuto, così come l’esistenza di una diffusa forma di Resistenza fatta di civili, tra cui molte donne, che operavano prima in maniera spontanea e successivamente in maniera organizzata e ben coordinata con il CLN e con gli Alleati.

Questa foto ha dietro una storia che richiederebbe di scrivere un intero libro, motivo per cui ne parlo solo alla fine dell’articolo su Iolanda!
(Inoltre, per non oscurare la storia di una donna)

Fonti e bibliografia
- ANPI & Istituto Nazionale Ferruccio Parri, “Atlante delle Stragi nazifasciste in Italia”, Strage di Palu’
- Giantonio & Annalinda Bonato, conversazioni personali e sito web .
- Emma Canzi, conversazioni personali e video intervista, 2018
- Michelangelo Canzi, “I Beccherli”, libretto di storia familiare inedito, 2018
- Philip D. Chinnery, “Le atrocità di Hitler contro i prigionieri di guerra alleati, Crimini di guerra del Terzo Reich”, Pen & Sword Military, 2018
- Stephen Hewson, Albert Watson Rhoades, Edith Rhoades, “Memorie di guerra, lettere di speranza”, Hewson Publishing, 2012
- John Simkins e Anne Copley del Monte San Martino Trust, corrispondenza e-mail, sito Web MSMT e sito YouTube
- Sir Roger Stanton, Escape Lines Memorial Society, corrispondenza e-mail e sito web ELMS, 2018
- Benedetta Tobagi, “La Resistenza delle Donne”, Einaudi, 2022
- Malcolm Tudor, “Tra i partigiani italiani, il contributo alleato alla resistenza”, Fonthill, 2016.
- Wikipedia, varie voci
