Zia Iolanda, improbabile eroina della Resistenza

[English version here]

Mentre l’Italia si prepara all’annuale celebrazione della liberazione dal nazifascismo, il 25 aprile 1945, vorrei raccontarvi una storia di Resistenza della mia famiglia, che ho iniziato solo di recente a portare alla luce: quella di mia prozia Iolanda Beccherle. Forse non sembra un classico eroe di guerra in questa foto. Ma lo e’ stata.

Ho iniziato a ricercare questa storia nel 2018, dopo che mio padre (che ha forti ricordi d’infanzia della guerra) ha fatto circolare un libretto che aveva scritto, con la storia della famiglia Beccherle, quella di sua madre. In esso accennava al fatto che sua zia Iolanda Beccherle aveva ricevuto un premio dal governo britannico dopo la seconda guerra mondiale, ma che né lui né altri della famiglia sapevano esattamente perché.

Come cittadina italiana residente nel Regno Unito ero molto incuriosita da quello che sembrava un riconoscimento di una certa importanza, quindi ho deciso di saperne di più. Cinque anni dopo l’inizio delle ricerche, dopo essere stata in contatto con varie organizzazioni, con discendenti di persone coinvolte in eventi accaduti dove viveva Iolanda (Zevio, vicino a Verona) e dopo aver consultato libri e archivi nazionali in due Paesi, ho – credo – risolto l’enigma. Mi mancano ancora alcuni pezzi, ma oggi scrivo di quello che ho scoperto finora.

Le donne italiane parteciparono in molti modi alla Resistenza: molte erano “staffette”, ma molte furono anche le donne coinvolte direttamente nel combattimento armato insieme ai partigiani. Inoltre – come vedremo – c’erano altre forme di resistenza. Tanti ricordi sul ruolo delle donne andarono però perduti perché dopo la guerra la maggioranza di loro tornò al ruolo domestico che la società si aspettava da loro.

Iolanda non era tra coloro che tornavano a un ruolo tradizionale. Non si era mai sposata, aveva intrapreso la carriera di direttrice di un ufficio postale (molto insolita per le donne italiane di quei tempi) e visse tutta la vita in una pensione. Vantandosi spesso di non aver mai cucinato un pasto e di non aver mai stirato! Eppure, ha scelto comunque di tacere su quello che era successo.

Mia zia Emma Canzi (Emi), che la conosceva molto bene, attribuisce questo silenzio a una forma naturale di modestia. Aiutare altre persone al momento del bisogno è stato semplicemente ciò che Iolanda ha fatto, per tutta la vita. 

Quando Iolanda morì nel 1973, fu Emi a trovare questo stupefacente certificato tra le sue cose.

Dopo varie ricerche online, ho scoperto che questo è un “Certificato Alexander”. Ma prima di spiegare di cosa si tratta, vale la pena ripassare cosa accadde nel 1943 in Italia.

Resa caotica

Quando l’armistizio fu annunciato l’8 settembre 1943, c’erano circa 80.000 prigionieri di guerra alleati nei campi di prigionia italiani. I comandanti di campo italiani ricevettero, la sera prima, l’ordine di favorire la fuga dei prigionieri di guerra verso la Svizzera o verso la parte del Sud d’Italia che era in mano alle forze alleate. Tuttavia, a quel punto divenne chiaro che gli alleati non si sarebbero mossi verso Nord lungo la penisola abbastanza rapidamente, lasciando il tempo all’esercito tedesco di invadere il Nord Italia. Così tanti soldati italiani scelsero di lasciare l’esercito e di nascondersi, alcuni aderendo ai gruppi partigiani che nel frattempo si stavano costituendo, altri tornando a casa. 

Donne di ogni estrazione sociale si organizzarono spontaneamente, a questo punto, per fornire abiti civili, cibo e riparo ai soldati italiani in fuga.

Nel frattempo, in molti campi, i prigionieri di guerra alleati scoprirono che le guardie se n’erano andate e il cancello in molti casi era stato lasciato aperto, Così nonostante un ordine di rimanere fermi, arrivato da Londra e noto come “stand fast order” (su cui c’è qualche polemica), decine di migliaia di soldati fuggirono nelle campagne circostanti, rendendo questa forse la più grande fuga di massa di prigionieri che si sia mai vista nella storia.

In pochi giorni, la maggior parte dell’Italia fu invasa dalle forze tedesche, fu creata la Repubblica fantoccio di Salò, con a capo di nuovo Mussolini. 

Quindi la decisione presa dai prigionieri di guerra di lasciare i campi di prigionia fu quella giusta (coloro che non lo fecero furono catturati dai nazisti e portati in campi di prigionia in Germania). Fortunatamente, centinaia di famiglie italiane – per lo più contadini poveri che avevano a malapena cibo a sufficienza per sé – diedero spontaneamente rifugio ai soldati alleati che si presentavano a casa loro affamati. Tuttavia, presto questo divenne estremamente pericoloso. La pena per aver fornito questa assistenza, se catturati, era la tortura, un campo di concentramento o l’esecuzione. Nella maggior parte dei casi, quando le persone venivano scoperte, le case e le fattorie venivano bruciate e il bestiame ucciso. Questo è il motivo per cui molti di loro sono stati successivamente premiati con “Certificati Alexander” (e in alcuni casi compensi monetari).

I campi intorno a Verona, dove si trovava Iolanda, ospitavano circa 3200 prigionieri di guerra alleati, quindi gran parte di questi doveva essere nascosta nella zona. Eppure Iolanda, da donna single residente in pensione, di certo non avrebbe mai potuto dare rifugio a dei soldati. Cosa ha fatto, dunque, per aver ricevuto questa benemerenza?

La svolta nelle mie ricerche è arrivata dopo che ho contattato il Monte San Martino Trust (MSMT), un’organizzazione inglese fondata nel 1989 dall’ex prigioniero di guerra Cav. J. Keith Killby OBE, proprio per poter conservare la memoria del sacrificio e dell’eroismo di tanti contadini italiani nel 1943. 

Anne Copley dell’ MSMT mi ha consigliato di consultare gli archivi della Allied Screening Commission che oggi sono conservati presso la National Archives and Records Administration (NARA) degli Stati Uniti a Washington. Per fortuna, è stato possibile farlo inviando un’e-mail con alcune informazioni precise: non c’è stato bisogno di viaggiare fino a Washington! E nel giro di pochi giorni, la NARA mi ha inviato un documento prodotto dalla Allied Screening Commission con un formulario riempito a mano da Iolanda.

Il documento contiene una lunga spiegazione scritta a mano da Iolanda e tradotta in inglese, su ciò che aveva fatto. “Ogni settimana portavo sigarette, raccoglievo denaro, vestiti e medicine per i prigionieri di guerra e mi dedicavo ad attività di propaganda… ”

Questo indicherebbe che Iolanda facesse parte di una rete che sosteneva i contadini che tanto generosamente e coraggiosamente ospitavano i prigionieri fuggiaschi. Un’ipotesi è che essere la direttrice dell’ufficio postale locale significasse conoscere tutti e tutto quello che succedeva a Zevio e dintorni, e chi ospitasse i soldati, e magari potendosi muovere e consegnare pacchi senza dare nell’occhio. Il riferimento alla propaganda potrebbe significare molte cose, ma potrebbe (potenzialmente) indicare il coinvolgimento in reti di sabotaggio come i “Gruppi di Difesa della Donna”.

Poi Iolanda dice di essersi offerta di contribuire a finanziare “ un piano per il trasporto di tutti i prigionieri di guerra della zona in un luogo più sicuro … poi fallito all’ultimo minuto a causa dei rastrellamenti effettuati dai tedeschi”.

Su iniziativa di Ferruccio Parri , un gruppo speciale della sezione Nord Italia del Comitato di Liberazione Nazionale aveva infatti iniziato a coordinare un gran numero di fughe in stretto coordinamento con gli Alleati, aiutando i prigionieri di guerra lungo il cammino con ospitalità e cibo. Forse Iolanda stava in qualche modo aiutando questo sforzo. È importante aggiungere, cosa anch’essa poco nota, che alcuni dei soldati alleati in fuga si univano ai partigiani là dove si trovavano, mentre altri si recavano prima in Svizzera ma accettavano di essere paracadutati in seguito in Italia per aiutare la Resistenza italiana.

La “famosa sera dei rastrellamenti”.

Nella parte finale del documento c’è poi un riferimento alla “famosa sera dei rastrellamenti” a proposito del quale lei dice di aver “lanciato prontamente l’allarme , evitando che ci fossero ulteriori vittime…” . Ho davvero faticato a capire cosa significasse esattamente, per un po’ di tempo.

Un utilissimo (e commovente) sito web personale creato da Giantonio Bonato e sua sorella Annalinda, nipoti di Gilio Bonato, contadino di Volon, vicino a Zevio, insignito anch’egli dell’Alexander Certificate, mi ha fornito il contesto necessario sugli avvenimenti della zona.

La “famosa sera” si riferisce molto probabilmente alla notte tra il 5 e il 6 novembre 1943, quando le truppe nazi-fasciste arrivarono in paese durante la notte e passarono ore di porta in porta alla ricerca di prigionieri di guerra nascosti. Di conseguenza, tre contadini italiani, Luigi Ferrari, Attilio e Leonildo Bettili e due prigionieri di guerra che erano stati ospiti presso di loro, William O’Connell e Linghk Harbajont, furono giustiziati in una caserma appena fuori Verona. Questa è oggi chiamata Strage di Palu’, uno dei tanti crimini di guerra perpetrati dall’esercito della Repubblica di Salo’.

Dato che centinaia, se non migliaia, di prigionieri di guerra erano nascosti nella zona, il massacro avrebbe indubbiamente potuto essere ancora peggiore se l’allarme dell’imminente rastrellamento non fosse stato lanciato in tempo.

Il libro di memorie di Albert Watson Rhoades , uno dei prigionieri di guerra ospitati dalla coraggiosa famiglia Bonato, che include resoconti delle figlie di Gilio, conferma potenzialmente questa interpretazione. Anna Bonato racconta infatti di essere stata svegliata improvvisamente una notte e di aver dovuto avvisare gli inglesi di correre fuori dalla porta sul retro per nascondersi nei campi perché i Nazifascisti li stavano cercando. Nel suo racconto, invece, Adelina Bonato cita una donna che veniva a portare vestiti e provviste, una signora Cisorio di Zevio, che doveva probabilmente far parte della stessa rete clandestina di cui faceva parte Iolanda.

Perché Iolanda non ha mai parlato di tutto questo?

Dopo la guerra, la maggior parte delle persone ha evitato di parlare di quello che è successo poiché tutti avevano familiari e amici che avevano combattuto ed erano morti su fronti opposti. Un nipote di Iolanda, Sofocle, essendosi arruolato volontariamente nell’esercito fascista, era morto nel 1942 ad El Alamein, ucciso dagli Alleati . Molti dei prigionieri di guerra Alleati detenuti nei campi di prigionia italiani, quegli stessi che venivano aiutati, erano stati catturati proprio nel teatro di guerra nordafricano, molti proprio ad El Alamein. Il fratello di Sofocle, e altro nipote di Iolanda, Focione Melotti, invece, combatte’ con i partigiani. Ma resto’ talmente traumatizzato, che si rifiutò persino di ritirare il premio dopo la guerra, nonostante avesse avuto un ruolo cruciale nella liberazione di Milano nel 1945 insieme a Sandro Pertini. Si può quindi comprendere la voglia di non parlarne mai più.

Eppure, con tutto il rispetto che ho per il desiderio di Iolanda di tacere sulle sue gesta in tempo di guerra, penso che 80 anni dopo sia importante saperne di più. Questo può aiutare a far sì che il contributo delle donne alla Resistenza smetta di essere poco conosciuto, così come l’esistenza di una diffusa forma di Resistenza fatta di civili, tra cui molte donne, che operavano prima in maniera spontanea e successivamente in maniera organizzata e ben coordinata con il CLN e con gli Alleati.

Fonti e bibliografia

  • ANPI & Istituto Nazionale Ferruccio Parri, “Atlante delle Stragi nazifasciste in Italia”, Strage di Palu’
  • Giantonio & Annalinda Bonato, conversazioni personali e sito web .
  • Emma Canzi, conversazioni personali e video intervista, 2018
  • Michelangelo Canzi, “I Beccherli”, libretto di storia familiare inedito, 2018
  • Philip D. Chinnery, “Le atrocità di Hitler contro i prigionieri di guerra alleati, Crimini di guerra del Terzo Reich”, Pen & Sword Military, 2018
  • Stephen Hewson, Albert Watson Rhoades, Edith Rhoades, “Memorie di guerra, lettere di speranza”, Hewson Publishing, 2012
  • John Simkins e Anne Copley del Monte San Martino Trust, corrispondenza e-mail, sito Web MSMT e sito YouTube
  • Sir Roger Stanton, Escape Lines Memorial Society, corrispondenza e-mail e sito web ELMS, 2018
  • Benedetta Tobagi, “La Resistenza delle Donne”, Einaudi, 2022
  • Malcolm Tudor, “Tra i partigiani italiani, il contributo alleato alla resistenza”, Fonthill, 2016.
  • Wikipedia, varie voci

My great aunt Iolanda, the unlikely Italian Resistance hero

[Versione Italiana qui]

As Italy prepares for its annual celebration of the anniversary of Italy’s liberation from Nazi-Fascism on 25th of April 1945, I’d like to tell you about a Resistance story I have only recently started to unearth: that of my great aunt Iolanda Beccherle. She doesn’t look like a stereotypical war hero, perhaps. But she was.

Iolanda Beccherle (1901-1973)

I started researching this story only in 2018. This was after my father circulated a booklet he had written, with the history of the Beccherle family, on his mother’s side. A lot of the booklet focused on memories of the second world war. Being now in his 80s, my father still has strong childhood memories of those days. He mentioned in the booklet that his mother’s sister, aunt Iolanda Beccherle had received an award from the British government after the second world war, but neither he nor others in the family knew exactly why.

As an Italian citizen in the UK I was very intrigued, so I set out to find out more. I have meanwhile been in touch with multiple charitable organisations; with descendants of people involved in events in Zevio, the town she was living in near Verona; consulted books and US and UK national archives. Five years later, I have – I think – solved the puzzle. I still have some missing pieces, but today I am writing about what I have found out so far.

Italian women participated in many ways in the Resistance: many were “staffette” carrying information between armed partisan groups, but there also were many women involved directly in armed combat with the Partisans. Plus – as we will see – there were even more who were involved in other forms of resistance. A lot of information about women’s role was however lost because after the war only a handful gained prominence, while the majority returned to the home based role a patriarchical society expected of them.

Iolanda was not among those returning to a traditional role. She had never married, pursued a career as a post office manager (very unusual for Italian women those days) and lived her entire life in a small hotel, later often boasting that she had never cooked a meal and never ironed.! Yet she still chose to keep quiet about what happened.

My aunt Emma Canzi (Emi), who knew her very well, attributes this silence to a natural form of modesty. Helping other people in need was simply what “zia” (aunt) Iolanda did, all her life, Emi said. When Iolanda died in 1973, she was the one who was very surprised to find this remarkable document among her things.

I found out that this is an “Alexander Certificate”. But before explaining what it is, it’s worth understanding what happened in 1943 in Italy.

Chaotic surrender

When Italy’s armistice was announced on 8 September 1943, there were around 80,000 Allied prisoners of war in Italian prison camps. Italian camp commandants received the order from the hierarchy to support the escape of prisoners of war to Switzerland or to the Southern part of Italy in hands of the Allied forces. However, it was at that point becoming clear that the Allies would not move Northward along the peninsula rapidly enough, leaving time for the German army to invade the North of Italy. So many Italian soldiers chose to leave the army and go into hiding, some of them joining the resistance groups that were meanwhile being set up, others heading home. Women from all walks of life spontaneously organised, at this point, to provide civilian clothes, food and shelter to the Italian soldiers who were escaping.

Meanwhile, in many camps, Allied prisoners of war found that the guards had gone and the gate perhaps left open, so despite an order from London to wait, known as “stand fast order” (over which there is some controversy), tens of thousands of soldiers escaped into the surrounding countryside, making this perhaps the largest mass prison escape in history.

Within days, most of Italy had been invaded by German forces, the puppet Republic of Salo’ created, with Mussolini as its ruler again. Salo’ is on Lake Garda, also near Verona.

So the decision that PoWs made to leave the prison camps was the right one, for those who took it. Fortunately, hundreds of Italian families – mostly poor farmers who barely had enough food for themselves – stepped up and sheltered the Allied soldiers. However, it soon became extremely dangerous to do so. The penalty for giving this assistance, if caught, was torture, a concentration camp or execution. In most cases when people were found out, houses and farms were burnt down and livestock killed. This is why many of them were later rewarded with Alexander Certificates (and in some cases monetary compensation).

The camps around Verona held around 3200 Allied prisoners of war, so a large portion of these would have been hiding in the area. Yet Iolanda, as a single woman, could never have sheltered a soldier – everybody in my family was adamant about that. So this became a bit of a mystery for me to solve.

My breakthrough came after I contacted the Monte San Martino Trust, an organisation founded in 1989 by the late Cav. J. Keith Killby OBE. Anne Copley, a trustee of MSMT, advised me, as a first step, to consult the Allied Screening Commission files held in the U.S. National Archives and Records Administration (NARA) in Washington. Thankfully, it was possible to do so by sending an email with some information provided by MSMT – no need to travel all the way to DC! And within just a few days, NARA sent me a document produced by the Allied Screening Commission with my own aunt’s handwriting.

The longer document (above is just the first page) contains a long explanation handwritten by Iolanda and translated into English, about what she had done. “Every week I brought sigarettes, collected money, clothes and medicines for the prisoners of war and engaged in propaganda activities…

This would indicate that Iolanda was part of a network which supported the farmers who were hosting the prisoners. One hypothesis is that being the manager of the local post office meant she knew everybody and everything that was going on in town and who was hosting the prisoners. The reference to propaganda could mean many things, but could (potentially) indicate being involved in sabotage networks such as “Gruppi di Difesa della Donna” (Women’s Defence Groups).

Then Iolanda mentions having offered to help fund a plan for the transport of all the prisoners of war in the local area to a safer placefailed at the last minute because of roundups carried out by the Germans.”

On the initiative of Ferruccio Parri, a special group in the Milan branch of the Committee for National Liberation (Comitato di Liberazione Nazionale of CLN) had in fact started coordinating large numbers of escapes in coordination with the Allies, helping the PoWs long the way with hospitality and food. It’s important to add, as also not very well known, that some of the escaping Allied soldiers were also joining the partisans where they were, while others were first going to Switzerland but agreeing to be parachuted back to help the Italian Resistance. Perhaps Iolanda was somehow helping this effort.

The “infamous” night

In the final part of Iolanda’s Allied Screening Commission document there is a reference to “the night of the infamous roundups” about which she says she “raised the alarm on time, avoiding further victims”. I really struggled to understand what this meant exactly, for some time.

A moving, personal website set up by Giantonio Bonato and his sister Annalinda, grandchildren of Gilio Bonato, a farmer and “helper” from the Zevio area who was awarded an Alexander Certificate, gave me some much needed context.

The “night of the infamous roundup” most likely refers to that between 5 and 6 November 1943, when Nazi-fascists troops arrived in the village during the night and spent hours going door to door, trying to find hidden PoWs. As a result, three Italian helpers – farmers Luigi Ferrari, Attilio and Leonildo Bettili and two prisoners of war – William O’Connell and Linghk Harbajont – both formerly from Zevio POW camp were executed. This is now referred to locally as the Palu’ massacre (Strage di Palu’), one of many war crimes perpetrated by the army of the Republic of Salo’.

Given that hundreds, if not thousands of PoWs must have been hiding in the area, the massacre could have been much worse without the alarm being raised on time.

The memoir of Albert Watson Rhoades, one of the POWs who was hosted by the brave Bonato family, co-written by his grandson Stephen Hewson and including accounts by the daughters of Gilio Bonato, potentially confirms this interpretation. An account by Anna Bonato describes being woken up suddenly one night by noises on the street and having to rapidly warn the Englishmen to run out from the back door into the countryside as the Nazi-Fascist army was around, searching for them. Her sister Adelina Bonato also mentions a woman that was coming to bring clothes and supplies, a Mrs Cisorio, who must have part of the same network of women helpers that Iolanda was part of.

Why did Iolanda never mention any of this?

After the war, most people avoided talking about what happened as everybody had family and friends that had fought and died on opposite sides. Iolanda’s nephew Sofocle, having enrolled voluntarily in the fascist army, had died in 1942 in El Alamein, killed by the Allies. Many of the PoW held in Italian prison camps, those very soldiers that were being helped, had been captured in the North African theatre. In contrast, Sofocle’s brother Focione Melotti, was so traumatised by his years in the Partisans, that he refused to even collect his award after the war, despite having had a crucial role in the liberation of Milan in 1945. One can therefore understand many people’s desire to move on.

And yet, with all the respect I have for Iolanda’s desire to be quiet about her wartime work, I think 80 years later it is important to find out more about these stories, to try to keep them alive. This can help to ensure the contribution of women to the Resistance stops being overlooked as well as the existence of a widespread non armed form of Resistance which was working closely with the Allies.

Focione Melotti, Iolanda’s nephew and my dad’s first cousin, is the young man (just 19 years old!) with a hat and holding a gun, to the right of future President Sandro Pertini who is addressing the crowd in Milan upon liberation. This photo has a history behind it that would require a whole book to be written, which is why I only mention this at the end of story about Iolanda! (Also, in order not to overshadow a woman’s story)
Iolanda in Egypt after the war, where she visited the burial place of her nephew Sofocle (right) who died at El Alamein fighting on the Italian side

Current sources and bibliography

  • ANPI & Institute Nazionale Ferruccio Parri, “Atlante delle Stragi Nazi-Fasciste in Italia”, Strage di Palu’
  • Giantonio & Annalinda Bonato, personal conversations and website.
  • Emma Canzi, personal conversations and video interview, 2018
  • Michelangelo Canzi, “I Beccherli”, unpublished family history booklet, 2018
  • Philip D. Chinnery, “Hitler’s Atrocities Against Allied PoWs, War Crimes of the Third Reich,” Pen & Sword Military, 2018
  • Stephen Hewson, Albert Watson Rhoades, Edith Rhoades, “Memories of War, Letters of Hope”, Hewson Publishing, 2012
  • John Simkins and Anne Copley of Monte San Martino Trust, email correspondence and MSMT website and youtube videos
  • Sir Roger Stanton, Escape Lines Memorial Society, email correspondence and ELMS website, 2018
  • Benedetta Tobagi, “La Resistenza delle Donne”, Einaudi, 2022
  • Malcolm Tudor, “Among the Italian Partisans, the Allied Contribution to the Resistance”, Fonthill, 2016.
  • Wikipedia, various entries linked above
Iolanda (left) with my aunt Emma Canzi (middle) and a friend on Lake Garda in the late 1940s, post-war

Police repression of climate protests. Who are the real vandals?

This article by UN Special Rapporteur Michael Forst on environmental defenders is an important read. There are very troubling developments in several countries, aimed at cracking down on peaceful protest about the most serious crisis we have ever faced, climate change. Several governments are responding in the most inappropriate, authoritarian way, and I am really worried that the media is also mostly failing to notice what is happening and reporting on why it is happening. Italy is among them.

Italy is discussing a bill that creates a new crime of damage to cultural goods, which comes a few days after activists who threw washable paint on Palazzo Vecchio in Florence had their homes searched by police. Activists now risk up to one year in prison and a 60 thousand Euro fine, for throwing washable paint! There is also evidence in various countries of activists who are peacefully protesting against oil companies being fined or banned from a city. This is not just about environmental protesters. We should all be worried about where this is going.

Personally, I’ve had my disagreements with groups using civil disobedience to raise awareness of climate change, both in the UK where I live and in Italy where I am originally from. But my concerns were not about the need for protest itself nor for the science that underpins these forms of radical action. The science is clear, all anyone needs is to read the latest IPCC synthesis report summary. I was just concerned about how protests are polarising this debate, vs broadening support for the cause.

But it is now really important to point out that criminalisation of this form of protest goes against all democratic values that our societies stand for. It is government authorities that need to adapt, passing laws that move us away from the destructive path we are on, and taking on board the concerns expressed by protesters.

We do not need laws to silence young people worried about their future. Those who minimise climate change and the deep environmental crisis we are in, those who pretend it can be fixed with silence and more authoritarian policing, those who engage in denial and climate action delay, those are the REAL vandals. The damage they are doing – unlike that from washable paint – cannot be undone.

Within this context, I commend the initiative by The Good Law Project in the UK which has facilitated a declaration by a group of lawyers that they will refuse to prosecute climate protesters, and I hope similar initiatives will come up elsewhere in Europe or in other parts of the world where they are needed.

#climatechange #art #ultimagenerazione #juststopoil #environmentaldefenders #civildisobedience #authoritarian #populism

La polemica sulla Direttiva “case green” e’ costruita a tavolino su affermazioni false

(I wrote an opinion piece on Italian daily newspaper Domani about the pointless culture war triggered by some Italian politicians on EU energy efficiency measures being negotiated. In the article, I outline how this feels like a bad, old film we’ve already watched in pre Brexit UK)

La #Direttiva #EPBD sull’efficientamento degli edifici mira a ridurre il caro bolletta, cosa estremamente importante visto che l’Italia e’ il secondo maggior importatore di #gas in Europa, dopo la Germania. Si tratta di una misura estremamente cruciale anche per ridurre le #emissioni di gas serra in Europa (e l’Italia e’ uno dei Paesi più esposti nella UE ai cambiamenti climatici).

Sulla base della mia esperienza diretta di anni di lavoro su norme di #efficienzaenergetica a livello #UE, posso garantire che no, queste cose non se le inventano dei burocrati una mattina in cui si sono svegliati male, per poter venire in casa vostra a darvi fastidio, come alcuni politici sembrano suggerire. Sono il risultato di anni di lavoro e compromessi da parte di esperti di tanti paesi e di ogni settore dell’economia.

L’Italia si trova ora a un bivio. Una strada guarda al passato, a “culture wars” in stile nordamericano e Trumpiano, o sulla scia della #Brexit, volte a generare inutile polarizzazione dell’opinione pubblica in un momento di crisi energetica, sulla base di polemiche create a tavolino.

L’altra guarda al futuro con un dibattito serio tra tutte le forze politiche sui compromessi necessari per attuare un piano industriale di sviluppo dell’ #economia basato sulla #sostenibilità energetica , in maniera coordinata con partner europei e del #Mediterraneo.

Leggi il resto su Domani.

Per maggiori informazioni sulle affermazioni fatte da politici italiani sulla questione vedasi anche:

Sulle “culture war” sul clima, partite dagli USA decenni fa ormai e scopiazzate ora in Italia: il sostegno della lobby del petrolio – Big Oil – alla diffusione di notizie false, pseudo-scientifiche e minimizzatrici sulla questione climatica e le relative soluzioni, che poi vanno a influenzare cittadini soprattutto (anche se non esclusivamente) a destra, è ben documentata.

Su questo, mi ripropongo di scrivere di piu’ in Italiano su questo sito. Intanto consiglio l’ottimo libro di Stella Levantesi, “I bugiardi del clima”.

La destra sovranista e il fantomatico super stato europeo

Essendomi occupata della #Brexit e delle drammatiche conseguenze sul Paese in cui vivo, la Gran Bretagna, vedo con enorme preoccupazione che le stesse identiche falsità che hanno portato al voto per l’uscita del Paese dalla UE nel 2016 vengono riproposte in Italia, dalla maggioranza ora al governo.

Quando politici italiani dicono che #Commissione Europea ha troppo potere, o parlano di UE come “super stato” come stanno facendo, dicono una falsità.

La Commissione Europea fa proposte sulla base di indicazione normalmente degli Stati membri o del Parlamento Europeo, e poi le proposte vengono discusse e votate a livello estremamente dettagliato da ministri degli Stati Membri e nella maggior parte dei casi, dal Parlamento Europeo.

Le falsita’ su come funziona l’Unione Europea dette da politici senza scrupoli, con il beneplacito di gran parte della stampa furono alla base della #Brexit, la disastrosa uscita della Gran Bretagna dalla UE (insieme a una serie di falsita’ sulla libertà di movimento, una vera e propria campagna di odio nei confronti anche dei vostri stessi connazionali).

Naturalmente la procedura che ha portato al PNRR, nell’ambito del #NextGenEU fu diversa, e nuova (data l’urgenza dettata dalla pandemia e in un contesto in cui si gestiva contemporaneamente la complessa questione dell’impatto sul budget UE proprio della Brexit), ma la sostanza non cambia affatto: dare la colpa alla Commissione Europea o a un fantomatico “super stato” semplicemente non ha senso. E’ vuoto slogan populista. Se mai uno dei problemi e’ che non ha sufficiente ruolo decisionale in questo caso il Parlamento Europeo, che essendo eletto dai cittadini dovrebbe davvero avere maggiore peso.

Informatevi, e spingete i giornalisti che conoscete a capire, prima di tutto, e poi spiegare al lettori come funzionano le decisioni a livello UE. Se c’e’ davvero un deficit democratico, questo e’ causato dall’eccessivo peso di alcune lobby industriali rispetto all’influenza dei comuni cittadini e delle associazioni che li rappresentano. Ma e’ un discorso lungo e non si risolve parlando di un fantomatico super-stato.

La destra sovranista confonde la acque, avvelena un dibattito che sarebbe da avere, su come rendere maggiormente democratiche le decisioni a livello UE, sulla base di fatti e non di slogan.

Per uno schema chiaro su come vengano prese la maggior parte delle decisioni nella UE, si veda questa ottima infografica.